Documento
di analisi
FUTURE PROSPETTIVE DEL SISTEMA SCOLASTICO
Quali
brutte sorprese ci riserva chi (forse) governerà
I
PARTE
1.
Il modello europeo ovvero come ti riduco di un anno la scuola per
licenziare i precari e diminuire il diritto allo studio.
L'esperienza
fallimentare del ministro Profumo si sta concludendo con
l'indicazione di ridurre di un anno il percorso scolastico allo scopo
di liberare risorse da investire nel miglioramento dell'offerta
didattica (stiamo ancora attendendo di capire come verranno investiti
gli 8 miliardi risparmiati con le precedenti riforme). Per
giustificare tale riduzione si fa come sempre appello al cosiddetto
“modello europeo” a cui ci si richiama tutte le volte che si
vogliono tagliare risorse ai beni comuni senza una giustificazione
effettiva.
Analizzando
i vari sistemi di formazione europei, però, emerge che un numero
considerevole di paesi prevede la conclusione del ciclo d'istruzione
superiore a diciannove anni. Tra queste nazioni figurano anche
Finlandia e Danimarca, cioè due casi tanto decantati dall'OCSE come
esempi virtuosi ed eccellenze nel campo dell'istruzione.
La
riduzione di un anno scolastico appare totalmente immotivata dal
punto di vista didattico: tagliando un anno di scuola sarà
inevitabile l'abbassamento del livello di formazione degli studenti
alla fine del loro percorso scolastico che già gli indicatori
indicano in sofferenza a causa del taglio delle risorse degli ultimi
anni. Tutto questo rischiando di favorire ulteriormente la
dispersione scolastica e l'analfabetismo di ritorno che sono una
piaga del sistema d'istruzione italiano.
Appare
decisamente pretestuoso l'utilizzo costante del “riferimento al
modello europeo” per avallare i continui tagli all'istruzione
statale considerato anche il fatto che non è prevista alcune
direttiva in tal senso e tenuto conto che l'art. 149 del trattato di
Maastricht stabilisce che “ la Comunità contribuisce allo sviluppo
di una educazione di qualità” ma “rispettando a pieno la
responsabilità degli Stati membri quanto al contenuto
dell'insegnamento e all'organizzazione del sistema educativo”.
Perché
ci si appella all'Europa quando si vogliono tagliare risorse e invece
si ignorano le direttive europee riguardo all'assunzione del
personale precario dopo la reiterazione dei contratti per tre anni a
tempo determinato o la quota d'investimento del PIL sull'Istruzione e
sulle misure di prevenzione della dispersione scolastica?.
2.
L'aziendalizzazione e la privatizzazione della scuola
Il
processo di aziendalizzazione della scuola italiana è una tendenza
ormai ben riconoscibile all'interno delle politiche governative degli
ultimi venti anni e può appieno essere inserito all'interno di un
progetto più vasto a livello europeo. Dalla fine degli anni Ottanta
assistiamo ad un crescente interesse nei confronti del sistema
educativo da parte della Tavola rotonda europea degli industriali
che sostiene “l'importanza strategica vitale della formazione e
dell'educazione per la competitività europea” facendo notare
altresì “che l'industria non ha che un'influenza molto debole sui
programmi impartiti nelle scuole e che gli insegnanti hanno una
comprensione insufficiente dell'ambiente economico e delle logiche
produttive” e quindi suggerisce “di moltiplicare i partenariati
tra le scuole e le imprese” invitando gli industriali a “prendere
parte attiva allo sforzo educativo” e i responsabili politici a
“coinvolgere le industrie nelle discussioni concernenti
l'educazione”. E sempre la stessa Tavola rotonda fa notare che
“nella maggior parte d'Europa le scuole sono integrate in un
sistema pubblico centralizzato” che “le rende impermeabili alle
domande provenienti dall'esterno”.
Anche lo studioso di economia Murphy fa notare che la “decisione
politica di incoraggiare l'apprendimento a vita (life-long learning)
è destinata a fornire alle grandi imprese europee l'infrastruttura
educativa essenziale al fine del mantenimento dei loro tassi di
profitto”.
In
Italia tale processo di aziendalizzazione trova le sue fondamenta già
nella Legge Bassanini (1996) che ha istituto l'autonomia finanziaria
delle scuole e poi nel decreto attuativo 175/99 che rende operativa
l'autonomia scolastica. Il ministro Berlinguer ha modificato, nel
corso del suo mandato, il rapporto pubblico-privato nella scuola per
cui oggi si intendono come pubbliche anche le scuole private
paritarie essendo stato spostato il concetto di pubblico dalla
“gestione” alla “finalità”.
Questo modello di scuola pubblica prevedeva che lo Stato desse delle
norme generali sul sistema di istruzione che poi, secondo l'autonomia
scolastica, il territorio avrebbe dovuto accogliere e declinare
creando una offerta didattica “pluralistica ed equa”. Invece, si
è potuto osservare come l'autonomia negli anni si è tendenzialmente
sviluppata come sistema a carattere lobbistico all'interno del quale
è maturata la pressante richiesta da parte delle scuole private
paritarie di sovvenzionamenti pubblici a scapito delle risorse che
dovrebbero essere destinate unicamente alla scuola statale.
All'interno delle scuole statali questa legge ha comportato una
autonomia finanziaria che prevede la gestione di un fondo erogato
dallo Stato e gestito dagli organi collegiali (non ancora riformati
nelle modalità che la legge prevedeva) e dai presidi che hanno
cambiato la propria qualifica in dirigenti scolastici
(presidi-manager).
Tale
progetto di riforma delle istituzioni scolastiche potrebbe giungere
al suo definitivo compimento nella prossima legislatura tramite
l'attuazione della riforma del titolo V che prevede il passaggio alle
Regioni del sistema scolastico nazionale così come proposto più
volte da vari esponenti del PDL – tra tutti Valentina Aprea – e
come proposto anche nel programma del PD dove si legge che l'unico
compito spettante allo Stato dovrebbe essere la vigilanza sulla
valutazione degli obiettivi raggiunti (unico organo di controllo a
livello nazionale), mentre alle singole istituzioni scolastiche si
darebbe mandato di attuare ogni altro aspetto decisionale, didattico,
amministrativo, gestionale e finanziario. “Una strada possibile è
quella di svuotare il MIUR e decentrare verso le Regioni”
nonostante il rischio di aumentare il divario attualmente presente
sul territorio nazionale. La soluzione per scongiurare questo
pericolo, secondo la proposta del PD, sarebbe di fare in modo che lo
Stato abdichi al ruolo e alle funzioni di indirizzo nazionale,
conservando unicamente la funzione di valutazione a posteriori di
quanto realizzato dalle scuole.
Fondamentali
fasi di passaggio all'interno di questo processo saranno
probabilmente:
La
riforma degli organi collegiali con inserimento di rappresentanti
delle imprese locali e degli sponsor così come già proposta più
volte nelle varie bozze del PdL Aprea-Ghizzoni.
L'esternalizzazione
dei servizi già in parte attuata con le mense esterne o affidate a
enti autonomi, con le pulizie dei locali affidate alle cooperative
come accade già oggi in alcune scuole comunali, con l'appalto dei
servizi educativi alle cooperative. L'alternanza scuola-lavoro
viene, in parte, utilizzata per sopperire al taglio delle ore di
insegnamento tecnico-pratico dovute alla rimodulazione dei quadri
orari. Il sistema delle imprese private chiamato a contribuire alla
formazione tecnico-pratica si avvantaggia, in questo modo, di
forza-lavoro non retribuita tra i 16 ai 19 anni.
La
riduzione del finanziamento al Fis (Fondo di Istituto), in
attuazione del decreto Stabilità del dicembre 2012, che taglierà
in modo notevole per i prossimi tre anni i fondi delle scuole per
finanziare gli scatti di anzianità ai docenti di ruolo. In questo
modo verrà ulteriormente impoverito il sistema di miglioramento
dell'offerta formativa delle scuole così come è stata realizzata
in questi anni con l'attivazione di corsi di italiano per stranieri,
di tutoraggio, corsi contro la dispersione scolastica e il bullismo,
corsi di recupero.
Il
conseguente innalzamento del contributo volontario nelle scuole
statali. A causa della riduzione del Fis, infatti, le scuole si
vedono sempre più costrette ad aumentare la richiesta di contributi
violando spesso la normativa che prevede un esplicito richiamo alla
non obbligatorietà di questi “erogazioni liberali”. Il
ministero si è trovato, di recente, ad ammettere il bisogno delle
scuole di ricorrere a richieste di contributi alle famiglie: “non
sfugge a questo dipartimento che il contributo delle famiglie
rappresenti una fonte essenziale per assicurare una offerta
formativa che miri a raggiungere livelli qualitativi sempre più
elevati soprattutto in considerazione delle ben note riduzioni della
spesa pubblica che hanno caratterizzato gli ultimi anni”
richiamando, però, i dirigenti scolastici a “non utilizzare
comportamenti vessatori e poco trasparenti” e consigliando “di
far leva sullo spirito di collaborazione e di partecipazione delle
famiglie”.
I
sempre cospicui finanziamenti pubblici alle scuole private paritarie
(225 milioni di euro nel 2012) che appaiono incongruenti soprattutto
in questo periodo storico di forti riduzioni della spesa pubblica.
Va sottolineato come questi finanziamenti siano incostituzionali
(art. 33 della Costituzione “enti e privati hanno diritto di
istituire scuole e istituti di educazione senza oneri per lo Stato”)
e spesso camuffati attraverso il sistema dei buoni scuola, come in
regione Lombardia dove ogni anno con il pretesto di sostenere la
“libertà di scelta educativa” tra le diverse istituzioni
scolastiche si eroga un contributo economico pari a 51 milioni di
euro solo nel 2012.
La
chiamata diretta degli insegnanti da parte dei Dirigenti scolastici
attraverso l'istituzione di un Albo professionale. In seguito
all'analisi della varie posizioni espresse dalle principali forze
politiche (PD – PDL – Monti) su questi punti si nota una
sgradevole e diffusa convergenza di vedute che fanno temere
un'attuazione molto rapida di tale processo.
3.
Attacco al Contratto nazionale docente: aumento dell'orario di
lavoro, blocco scatti d'anzianità, blocco ferie docenti precari.
L'attacco
costante al ruolo e alla professionalità dei lavoratori della scuola
è andato crescendo, negli ultimi anni, parallelamente alla volontà
di privare la scuola del suo ruolo centrale all'interno della
società. La diffusa e trasversale retorica del “docente
fannullone”, l'aver reso il contesto lavorativo sempre più privo
di risorse e mezzi, i diversi tentativi di svilimento della categoria
docente declassata a svolgere mansioni di mero contenimento si
aggiungono all'attacco che da anni si sta realizzando contro i
diritti dei lavoratori della scuola.
Le
radici di questo attacco sono ben rintracciabili nella
precarizzazione del personale della scuola che è diventata una
condizione permanente frutto di un chiaro disegno volto alla
riduzione dei diritti dei lavoratori (contratto a tempo indeterminato
vista la normativa europea; disparità di trattamento in materia di
ferie, scatti di anzianità, permessi rispetto al personale in
ruolo). A seguito dei tagli del ministro Gelmini la situazione si è
ulteriormente aggravata poiché buona parte di coloro che prima erano
precari sono diventati disoccupati (150.000 posti di lavoro tagliati
nella scuola statale).
La
diminuzione di diritti in settori un tempo considerati stabili e
sicuri, come quelli del lavoro pubblico, che rendevano i lavoratori
statali quasi privilegiati, è un processo che ha peggiorato la
possibilità di contrattazione di tutti i lavoratori creando
forza-lavoro a basso costo, precaria e, quindi, più ricattabile e
disposta ad accettare qualsiasi forma contrattuale pur di lavorare.
Prova di come questi attacchi si stiano estendendo a tutta la
categoria di lavoratori della scuola ne è il recente tentativo di
minare direttamente il contratto nazionale, quindi anche i lavoratori
a tempo indeterminato, con la proposta dell'aumento dell'orario di
servizio a pari retribuzione. La proposta di innalzare l'orario dei
docenti delle scuole superiori di primo e secondo grado da 18 a 24
ore a parità di stipendio è stata avanzata all'interno di una legge
finanziaria (decreto stabilità dicembre 2012) e senza che venissero
consultate le organizzazioni sindacali di categoria come, invece,
prevede il contratto collettivo nazionale (CCNL 2006/2009 art. 28
comma 5). Un tentativo, questo, davvero senza precedenti allo Statuto
dei lavoratori.
Coordinamento
Lavoratori della scuola “3 Ottobre” - CPS Milano