12 aprile 2013

FUTURE PROSPETTIVE DEL SISTEMA SCOLASTICO Quali brutte sorprese ci riserva chi (forse) governerà


Documento di analisi

FUTURE PROSPETTIVE DEL SISTEMA SCOLASTICO
Quali brutte sorprese ci riserva chi (forse) governerà

I PARTE
1. Il modello europeo ovvero come ti riduco di un anno la scuola per licenziare i precari e diminuire il diritto allo studio.

L'esperienza fallimentare del ministro Profumo si sta concludendo con l'indicazione di ridurre di un anno il percorso scolastico allo scopo di liberare risorse da investire nel miglioramento dell'offerta didattica (stiamo ancora attendendo di capire come verranno investiti gli 8 miliardi risparmiati con le precedenti riforme). Per giustificare tale riduzione si fa come sempre appello al cosiddetto “modello europeo” a cui ci si richiama tutte le volte che si vogliono tagliare risorse ai beni comuni senza una giustificazione effettiva.

Analizzando i vari sistemi di formazione europei, però, emerge che un numero considerevole di paesi prevede la conclusione del ciclo d'istruzione superiore a diciannove anni. Tra queste nazioni figurano anche Finlandia e Danimarca, cioè due casi tanto decantati dall'OCSE come esempi virtuosi ed eccellenze nel campo dell'istruzione1.

La riduzione di un anno scolastico appare totalmente immotivata dal punto di vista didattico: tagliando un anno di scuola sarà inevitabile l'abbassamento del livello di formazione degli studenti alla fine del loro percorso scolastico che già gli indicatori indicano in sofferenza a causa del taglio delle risorse degli ultimi anni. Tutto questo rischiando di favorire ulteriormente la dispersione scolastica e l'analfabetismo di ritorno che sono una piaga del sistema d'istruzione italiano.

Appare decisamente pretestuoso l'utilizzo costante del “riferimento al modello europeo” per avallare i continui tagli all'istruzione statale considerato anche il fatto che non è prevista alcune direttiva in tal senso e tenuto conto che l'art. 149 del trattato di Maastricht stabilisce che “ la Comunità contribuisce allo sviluppo di una educazione di qualità” ma “rispettando a pieno la responsabilità degli Stati membri quanto al contenuto dell'insegnamento e all'organizzazione del sistema educativo”.
Perché ci si appella all'Europa quando si vogliono tagliare risorse e invece si ignorano le direttive europee riguardo all'assunzione del personale precario dopo la reiterazione dei contratti per tre anni a tempo determinato o la quota d'investimento del PIL sull'Istruzione e sulle misure di prevenzione della dispersione scolastica?
2.


2. L'aziendalizzazione e la privatizzazione della scuola

Il processo di aziendalizzazione della scuola italiana è una tendenza ormai ben riconoscibile all'interno delle politiche governative degli ultimi venti anni e può appieno essere inserito all'interno di un progetto più vasto a livello europeo. Dalla fine degli anni Ottanta assistiamo ad un crescente interesse nei confronti del sistema educativo da parte della Tavola rotonda europea degli industriali3 che sostiene “l'importanza strategica vitale della formazione e dell'educazione per la competitività europea” facendo notare altresì “che l'industria non ha che un'influenza molto debole sui programmi impartiti nelle scuole e che gli insegnanti hanno una comprensione insufficiente dell'ambiente economico e delle logiche produttive” e quindi suggerisce “di moltiplicare i partenariati tra le scuole e le imprese” invitando gli industriali a “prendere parte attiva allo sforzo educativo” e i responsabili politici a “coinvolgere le industrie nelle discussioni concernenti l'educazione”. E sempre la stessa Tavola rotonda fa notare che “nella maggior parte d'Europa le scuole sono integrate in un sistema pubblico centralizzato” che “le rende impermeabili alle domande provenienti dall'esterno”4. Anche lo studioso di economia Murphy fa notare che la “decisione politica di incoraggiare l'apprendimento a vita (life-long learning) è destinata a fornire alle grandi imprese europee l'infrastruttura educativa essenziale al fine del mantenimento dei loro tassi di profitto”5.

In Italia tale processo di aziendalizzazione trova le sue fondamenta già nella Legge Bassanini (1996) che ha istituto l'autonomia finanziaria delle scuole e poi nel decreto attuativo 175/99 che rende operativa l'autonomia scolastica. Il ministro Berlinguer ha modificato, nel corso del suo mandato, il rapporto pubblico-privato nella scuola per cui oggi si intendono come pubbliche anche le scuole private paritarie essendo stato spostato il concetto di pubblico dalla “gestione” alla “finalità”6. Questo modello di scuola pubblica prevedeva che lo Stato desse delle norme generali sul sistema di istruzione che poi, secondo l'autonomia scolastica, il territorio avrebbe dovuto accogliere e declinare creando una offerta didattica “pluralistica ed equa”. Invece, si è potuto osservare come l'autonomia negli anni si è tendenzialmente sviluppata come sistema a carattere lobbistico all'interno del quale è maturata la pressante richiesta da parte delle scuole private paritarie di sovvenzionamenti pubblici a scapito delle risorse che dovrebbero essere destinate unicamente alla scuola statale. All'interno delle scuole statali questa legge ha comportato una autonomia finanziaria che prevede la gestione di un fondo erogato dallo Stato e gestito dagli organi collegiali (non ancora riformati nelle modalità che la legge prevedeva) e dai presidi che hanno cambiato la propria qualifica in dirigenti scolastici (presidi-manager).

Tale progetto di riforma delle istituzioni scolastiche potrebbe giungere al suo definitivo compimento nella prossima legislatura tramite l'attuazione della riforma del titolo V che prevede il passaggio alle Regioni del sistema scolastico nazionale così come proposto più volte da vari esponenti del PDL – tra tutti Valentina Aprea – e come proposto anche nel programma del PD dove si legge che l'unico compito spettante allo Stato dovrebbe essere la vigilanza sulla valutazione degli obiettivi raggiunti (unico organo di controllo a livello nazionale), mentre alle singole istituzioni scolastiche si darebbe mandato di attuare ogni altro aspetto decisionale, didattico, amministrativo, gestionale e finanziario. “Una strada possibile è quella di svuotare il MIUR e decentrare verso le Regioni” nonostante il rischio di aumentare il divario attualmente presente sul territorio nazionale. La soluzione per scongiurare questo pericolo, secondo la proposta del PD, sarebbe di fare in modo che lo Stato abdichi al ruolo e alle funzioni di indirizzo nazionale, conservando unicamente la funzione di valutazione a posteriori di quanto realizzato dalle scuole.

Fondamentali fasi di passaggio all'interno di questo processo saranno probabilmente:

  • La riforma degli organi collegiali con inserimento di rappresentanti delle imprese locali e degli sponsor così come già proposta più volte nelle varie bozze del PdL Aprea-Ghizzoni.
  • L'esternalizzazione dei servizi già in parte attuata con le mense esterne o affidate a enti autonomi, con le pulizie dei locali affidate alle cooperative come accade già oggi in alcune scuole comunali, con l'appalto dei servizi educativi alle cooperative. L'alternanza scuola-lavoro viene, in parte, utilizzata per sopperire al taglio delle ore di insegnamento tecnico-pratico dovute alla rimodulazione dei quadri orari. Il sistema delle imprese private chiamato a contribuire alla formazione tecnico-pratica si avvantaggia, in questo modo, di forza-lavoro non retribuita tra i 16 ai 19 anni.

  • La riduzione del finanziamento al Fis (Fondo di Istituto), in attuazione del decreto Stabilità del dicembre 2012, che taglierà in modo notevole per i prossimi tre anni i fondi delle scuole per finanziare gli scatti di anzianità ai docenti di ruolo. In questo modo verrà ulteriormente impoverito il sistema di miglioramento dell'offerta formativa delle scuole così come è stata realizzata in questi anni con l'attivazione di corsi di italiano per stranieri, di tutoraggio, corsi contro la dispersione scolastica e il bullismo, corsi di recupero.
  • Il conseguente innalzamento del contributo volontario nelle scuole statali. A causa della riduzione del Fis, infatti, le scuole si vedono sempre più costrette ad aumentare la richiesta di contributi violando spesso la normativa che prevede un esplicito richiamo alla non obbligatorietà di questi “erogazioni liberali”. Il ministero si è trovato, di recente, ad ammettere il bisogno delle scuole di ricorrere a richieste di contributi alle famiglie: “non sfugge a questo dipartimento che il contributo delle famiglie rappresenti una fonte essenziale per assicurare una offerta formativa che miri a raggiungere livelli qualitativi sempre più elevati soprattutto in considerazione delle ben note riduzioni della spesa pubblica che hanno caratterizzato gli ultimi anni” richiamando, però, i dirigenti scolastici a “non utilizzare comportamenti vessatori e poco trasparenti” e consigliando “di far leva sullo spirito di collaborazione e di partecipazione delle famiglie”7.
  • I sempre cospicui finanziamenti pubblici alle scuole private paritarie (225 milioni di euro nel 2012) che appaiono incongruenti soprattutto in questo periodo storico di forti riduzioni della spesa pubblica. Va sottolineato come questi finanziamenti siano incostituzionali (art. 33 della Costituzione “enti e privati hanno diritto di istituire scuole e istituti di educazione senza oneri per lo Stato”) e spesso camuffati attraverso il sistema dei buoni scuola, come in regione Lombardia dove ogni anno con il pretesto di sostenere la “libertà di scelta educativa” tra le diverse istituzioni scolastiche si eroga un contributo economico pari a 51 milioni di euro solo nel 2012.
  • La chiamata diretta degli insegnanti da parte dei Dirigenti scolastici attraverso l'istituzione di un Albo professionale. In seguito all'analisi della varie posizioni espresse dalle principali forze politiche (PD – PDL – Monti) su questi punti si nota una sgradevole e diffusa convergenza di vedute che fanno temere un'attuazione molto rapida di tale processo.

3. Attacco al Contratto nazionale docente: aumento dell'orario di lavoro, blocco scatti d'anzianità, blocco ferie docenti precari.

L'attacco costante al ruolo e alla professionalità dei lavoratori della scuola è andato crescendo, negli ultimi anni, parallelamente alla volontà di privare la scuola del suo ruolo centrale all'interno della società. La diffusa e trasversale retorica del “docente fannullone”, l'aver reso il contesto lavorativo sempre più privo di risorse e mezzi, i diversi tentativi di svilimento della categoria docente declassata a svolgere mansioni di mero contenimento si aggiungono all'attacco che da anni si sta realizzando contro i diritti dei lavoratori della scuola.

Le radici di questo attacco sono ben rintracciabili nella precarizzazione del personale della scuola che è diventata una condizione permanente frutto di un chiaro disegno volto alla riduzione dei diritti dei lavoratori (contratto a tempo indeterminato vista la normativa europea; disparità di trattamento in materia di ferie, scatti di anzianità, permessi rispetto al personale in ruolo). A seguito dei tagli del ministro Gelmini la situazione si è ulteriormente aggravata poiché buona parte di coloro che prima erano precari sono diventati disoccupati (150.000 posti di lavoro tagliati nella scuola statale).

La diminuzione di diritti in settori un tempo considerati stabili e sicuri, come quelli del lavoro pubblico, che rendevano i lavoratori statali quasi privilegiati, è un processo che ha peggiorato la possibilità di contrattazione di tutti i lavoratori creando forza-lavoro a basso costo, precaria e, quindi, più ricattabile e disposta ad accettare qualsiasi forma contrattuale pur di lavorare. Prova di come questi attacchi si stiano estendendo a tutta la categoria di lavoratori della scuola ne è il recente tentativo di minare direttamente il contratto nazionale, quindi anche i lavoratori a tempo indeterminato, con la proposta dell'aumento dell'orario di servizio a pari retribuzione. La proposta di innalzare l'orario dei docenti delle scuole superiori di primo e secondo grado da 18 a 24 ore a parità di stipendio è stata avanzata all'interno di una legge finanziaria (decreto stabilità dicembre 2012) e senza che venissero consultate le organizzazioni sindacali di categoria come, invece, prevede il contratto collettivo nazionale (CCNL 2006/2009 art. 28 comma 5). Un tentativo, questo, davvero senza precedenti allo Statuto dei lavoratori.

Coordinamento Lavoratori della scuola “3 Ottobre” - CPS Milano
 
 

1Fonte: rete Eurydice 2010-2011 a cura dell'Agenzia esecutiva per l'educazione dell'Unione europea.

2Si veda Strategia Europa 2020

3Educazione e competenza in Europa, studio della Tavola rotonda europea sull'educazione e la formazione in Europa, Bruxelles, febbrario 1989.

4ERT, Une éducation européenne, Vers une societé qui apprend, Un rapport de la Table Ronde des Industriels européens, Bruxelles, febbraio 1997.

5Cit. M. Murphy, Capital, class and adult education: the international political economy of lifelong learning in the European Union, Usa, 1997.

6Legge n. 62/2000.

7Nota ministeriale n. 40593 del 7/3/2013 in cui si richiamano i DS ai criteri di trasparenza esplicitati nella nota del 20/3/2012.

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