Nel tentativo di presentare i contenuti salienti dell’attuale ridefinizione del sistema scolastico, ci si trova in una situazione di grave imbarazzo. Innanzitutto, è difficile parlare di una vera e propria riforma, poiché si tratta piuttosto di un riordino, teso alla riduzione della spesa e dell’offerta formativa e non sorretto da un serio e chiaro progetto pedagogico. In secondo luogo, nonostante manchino pochi mesi alla chiusura delle iscrizioni per il prossimo anno scolastico, non sono ancora stati approvati i regolamenti per il riordino delle scuole secondarie di secondo grado. Gli istituti superiori, quindi, si trovano costretti ad aggiornare i loro Piani dell’Offerta Formativa sulla base di bozze ufficiose e possono presentare in modo approssimativo e largamente presuntivo i propri curricoli di studio ai genitori dei ragazzi di terza media. Ritrovarsi in questa situazione di incertezza è tanto più grave in quanto il governo, nel dicembre 2008, aveva deciso di rimandare di un anno l’avvio del riordino delle scuole secondarie di secondo grado, giustificandosi con la necessità di far meglio conoscere alle famiglie i contenuti della “riforma”. Il fatto che, a tutt’oggi, quei contenuti circolino ancora in forma di bozza smentisce le giustificazioni del governo e manifesta l’approssimazione con cui sta riorganizzando la scuola italiana.
Per capire la natura di questa “riforma”, si deve tenere presente su quali disegni di legge essa si basi. A proposito, è molto significativo il fatto che il principale provvedimento, che sorregge l’intero riordino, non sia una legge che riguardi la pubblica istruzione, bensì una legge prettamente finanziaria, la 133/2008, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”. L’art. 64 prevede, nel triennio 2009/2012, un taglio di 7,8 miliardi di Euro ai finanziamenti per la scuola pubblica, pari al 15% della spesa scolastica complessiva.
L’architrave sul quale si reggono i nuovi regolamenti per le scuole di ogni grado è però lo “Schema di piano programmatico del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze” del settembre 2008. Lo Schema, previsto dallo stesso art. 64 della legge 133/2008, dispone una serie di interventi che consentano di realizzare le riduzioni di spesa disposte da quel provvedimento. Le linee guida del riordino dei cicli di istruzione, quindi, obbediscono a preoccupazioni di natura esclusivamente finanziaria. I decreti e i regolamenti approvati sulla base dello Schema di piano programmatico non fanno che tradurre, all’interno dei diversi gradi scolastici, quelle direttive tese al risparmio. Così devono essere intesi l’introduzione del maestro unico o prevalente, la riduzione di orario nelle scuole secondarie, la riconduzione di tutte le cattedre a 18 ore di insegnamento frontale. Altri provvedimenti, come il ritorno del grembiulino alle elementari e l’introduzione del 5 in condotta, non sono che utili schermi propagandistici, che occultano il reale contenuto del riordino dietro una demagogica e falsa riscoperta della severità degli studi.
Per la sua stessa natura, lo Schema di piano programmatico non tiene in alcuna considerazione la qualità dell’attività didattica. Le parole d’ordine su cui si basa sono flessibilità, in primo luogo del personale docente, cui sarà richiesto di insegnare una pluralità di discipline, anche in assenza di una preparazione specifica (a questa esigenza obbedisce l’accorpamento delle classi di concorso), ed essenzializzazione dei piani di studio. Grande assente nel disegno di riordino è la qualità dell’insegnamento, probabilmente perché essa difficilmente si concilia con il risparmio. Tutti gli interventi disposti dallo Schema, al contrario, si muovono nella direzione dell’impoverimento della didattica: la riduzione delle ore di scuola settimanali implica la scomparsa di alcune discipline di studio e la compressione di altre; la riconduzione di tutte le cattedre a 18 ore elimina la possibilità di supplire i docenti assenti e di potenziare l’offerta formativa; l’aumento del numero di studenti per classe (fino a 37 nel 2011/2012) ostacola la didattica, attenta alla sicurezza e favorisce la dispersione; la riduzione dei docenti tecnico-pratici impedisce il ricorso sistematico alla didattica laboratoriale. L’insieme di questi provvedimenti porterà, nel triennio, al taglio di 87.400 cattedre e di 44.500 posti di personale ausiliario-tecnico-amministrativo (ottenuto, quest’ultimo, con l’accorpamento delle scuole e con l’esternalizzazione di parte dei servizi scolastici).
I singoli regolamenti non fanno che declinare le linee-guida dello Schema di piano programmatico nelle scuole di diverso ordine e grado, senza riguardo alle esigenze didattiche. A puro titolo esemplificativo, basta esaminare l’ultima bozza di quello sui licei, per trovare nuove sorprese. Contrariamente a quanto più volte dichiarato dal Ministro, si assiste a una generale contrazione della Lingua inglese e, cosa ancora più sconcertante, a una drastica riduzione delle discipline di indirizzo. Se si eccettua infatti il liceo scientifico, dove si incrementa lo studio delle scienze, negli altri licei sono proprio le discipline caratterizzanti di ciascun corso di studio a pagare il prezzo più alto sull’altare del risparmio: nel liceo delle scienze umane il taglio colpisce soprattutto Psicologia, Sociologia e Scienze dell’Educazione; nel liceo artistico le Discipline Plastiche, oltre che Matematica e Fisica; nel linguistico la seconda e la terza lingua. In molti casi sono le discipline “improduttive” dal punto di vista economico, come Diritto, Filosofia, Musica, Storia dell’Arte ad essere sacrificate, oltre alle attività laboratoriali. Sono solo esempi, che ben testimoniano però l’improvvisazione con cui si è proceduto a un riordino scolastico basato su obiettivi puramente economici.
Su un punto, tuttavia, si può dire che il governo stia procedendo con coerenza ad una riorganizzazione complessiva del sistema scolastico. Sacrificate le altre due “i” sbandierate nel corso di una vecchia campagna elettorale (internet e inglese), la terza assurge a vera protagonista della politica governativa in tema di istruzione. Si tratta dell’impresa, che in due sensi distinti concorre a configurare un modello di scuola molto diverso da quello tradizionale.
In primo luogo, si fa sempre più stretto il rapporto tra scuola e azienda. I regolamenti degli istituti secondari di secondo grado prevedono l’istituzione di Comitati scientifico-didattici, dotati di compiti consultivi e di indirizzo in ambito didattico, cui partecipino esperti del mondo lavorativo. È la prima volta che il rapporto di partnership con le imprese è ricondotto, in forma istituzionale e obbligatoria, all’interno delle scuole, anziché essere lasciato all’intraprendenza dei singoli Dirigenti Scolastici. Si delinea, inoltre, una ridefinizione della didattica in termini di competenze, che obbedisce alla logica aziendalistica sottesa al Piano di Lisbona. Le scuole superiori dovranno definire i profili in uscita dei loro studenti in termini di competenze ricalcate sulle richieste del mondo produttivo, più che di conoscenze disciplinari e di finalità educative più generali ed elevate. La stessa riduzione della spesa sembra obbedire al principio di sussidiarietà, architrave del Piano di Lisbona, che prevede la transizione a un sistema formativo misto pubblico-privato, in cui lo Stato cederebbe progressivamente il finanziamento e la gestione dell’istruzione al cosiddetto privato sociale.
In secondo luogo, la scuola stessa diventa sempre più simile ad un’impresa privata. L’aziendalizzazione degli istituti passa attraverso il progetto di legge Aprea, fermo alla Camera da un anno e mezzo. Esso prevede la trasformazione degli istituti secondari in fondazioni; il rafforzamento della figura del Dirigente scolastico, correlativo a un depotenziamento degli organi collegiali; la trasformazione del Consiglio d’Istituto in Consiglio di Amministrazione; il massiccio ingresso degli esperti del mondo produttivo nell’organo di governo della scuola; la rigida gerarchizzazione giuridica ed economica dei docenti.
Riduzione dei finanziamenti e aziendalizzazione della scuola sembrano quindi, a un esame più attento, due elementi che concorrono a un unico obiettivo di fondo: la trasformazione del sistema scolastico, nel quadro di una complessiva riduzione e ridefinizione dello Stato sociale. Il modello compiuto di questa ridefinizione è la scuola paritaria: sempre impegnata nella concorrenza al ribasso (nelle richieste didattiche) con le altre scuole; finanziata dallo Stato, ma gestita secondo logiche privatistiche; libera di derogare alle norme rispettate dalle scuole statali. L’On. Aprea è stata chiara su questo punto: l’obiettivo è creare una “scuola con un sistema misto Stato-privato”, ovvero porre fine all’anomalia del sistema scolastico italiano, l’unico in Europa in cui oltre il 90% degli studenti frequenta una scuola pubblica statale, gratuita, aperta a tutti, con picchi di eccellenza riconosciuti a livello europeo.
Dalla consapevolezza della gravità della situazione attuale, è nata lo scorso anno l’esigenza di mobilitarsi a difesa di un sistema di formazione, che, nonostante i suoi limiti, ha formato generazioni di intellettuali e di lavoratori ricercati anche all’estero. Ancora oggi, purtroppo, pochi colleghi, genitori, studenti e cittadini conoscono i veri contenuti della “riforma” Gelmini e del P.d.l. Aprea. È dunque necessario estendere ancora la conoscenza di un progetto pericoloso per il futuro della scuola e dell’intera società italiana, nella certezza che la consapevolezza sia la base di ogni lotta, e che la lotta collettiva sia necessaria per la difesa di un bene di tutti.
Matteo Cucchiani - Coordinamento lavoratori della scuola “3 ottobre”
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